Il fondo Marengo: un patrimonio per la cultura visiva
Tanti anni fa sono andato con Lodovica Braida a Torino da Pietro Marengo per vedere la sua collezione di riviste illustrate. La trattativa era già stata avviata da Enrico Decleva, allora rettore dell’Università, e a noi toccava visionare direttamente i materiali e definire gli accordi per il trasporto al neonato Centro Apice e altri dettagli. Ci aspettavamo delle belle cose ma non le meraviglie che Marengo, già direttore editoriale della Utet, ci avrebbe squadernato sotto il naso. Quanto soprattutto ci colpì fu – oltre alla quantità impressionante dei pezzi raccolti – l’ampiezza di respiro della collezione, che comprendeva di tutto senza gerarchie: unico filo conduttore era la presenza di figure in pubblicazioni periodiche di tutti i generi del XIX e XX secolo. Quanto ci sembrava particolarmente apprezzabile era il delinearsi – già solo attraverso i campioni che nell’occasione potemmo guardare – di un’inedita cultura visiva di massa, talvolta ancora legata a forme di figurazione popolaresca, nonché i rapporti sempre più stretti tra comunicazione e ricerca artistica, con tutti gli intrecci tra alto e basso che inevitabilmente ne conseguivano.
In sintesi, la collezione può dirsi costituita da tre principali categorie: giornali e giornaletti popolari, di modesta qualità, con illustrazioni di autori anonimi o pressochè sconosciuti; periodici satirici con lavori di grandi disegnatori, molti dei quali da considerare artisti tout court (in Italia, per esempio, Mino Maccari in “Il Selvaggio”, in Francia Felix Vallotton, Pierre Bonnard ed Édouard Vuillard in “La Revue Blanche” e “L’Assiette au Beurre”, in Austria e Germania Franz von Stuck, Thomas Theodor Heine, Bruno Paul in “Ver Sacrum”, “Jugend”, “Simplicissimus”, “Pan”); vere e proprie riviste d’arte, infine, con collaboratori del massimo livello, da Aubrey Beardsley a Georg Tappert, Enrico Prampolini, Bruno Munari e Henri Matisse…
Il Fondo Marengo è ancora per tanti aspetti inesplorato e pieno di sorprese: basti ricordare la raccolta dei fascicoli di “Le Tour du Monde” dove le incisioni di Gustave Doré non sono soltanto opere d’arte in sé ma raccontano – insieme a quelle di tanti altri grandi illustratori – geografia, storia, antropologia, etnografia, storia del costume e così via secondo la prospettiva di centocinquant’anni fa.
Un suo studio complessivo e sistematico del Fondo Marengo ancora non c’è; richiederebbe tempo e impegno ma potrebbe portare a un’inedita, ricchissima e sorprendente storia dell’illustrazione.
Antonello Negri
Università degli Studi di Milano
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