27 Gennaio 2025 10:00

Dietro le quinte del Diario di Gusen: dagli archivi della famiglia Carpi

“La Statale e la Memoria fra scrittura e conservazione” – che si terrà lunedì 27 gennaio 2025 dalle 10 alle 13 nella Sala di Rappresentanza dell’Università degli Studi di Milano

Paolo Rusconi e Roberta Cesana, rispettivamente Presidente e Coordinatrice scientifica del Centro Apice, partecipano all’incontro “La Statale e la Memoria fra scrittura e conservazione” – che si terrà lunedì 27 gennaio 2025 dalle 10 alle 13  nella Sala di Rappresentanza dell’Università degli Studi di Milano, in via Festa del Perdono 7 – con un intervento incentrato sugli archivi di Aldo Carpi, della moglie, Maria Arpesani, e del figlio, Pinin Carpi. Tutti e tre gli archivi si trovano presso il Centro Apice e conservano ampia documentazione relativa alla deportazione di Aldo Carpi e alla successiva pubblicazione del suo Diario di Gusen (Garzanti, 1971).

Come ha ricordato Corrado Stajano nell’introduzione alla nuova edizione Einaudi (1993) del Diario: «Aldo Carpi ha 57 anni quando indossa la casacca a strisce bianche e blu, con il triangolo rosso del deportato politico. Il suo numero di matricola è il 53.376. È stato arrestato il 23 gennaio 1944 a Mondonico, un paese della Brianza, per la spiata di uno scultore, professore al liceo artistico di Brera, che lo accusa di attività antifasciste nelle quali era impegnata tutta la famiglia. Aldo Carpi è un pittore famoso e amato e proprio quel giorno sta dipingendo, un segno del destino, L’arresto degli Arlecchini, un olio su tavola raffigurante un plotone nero di sbirri che sta inseguendo degli arlecchini in fuga, danzanti in una metafisica piazza di città. Gli verrà spesso in mente, nell’anno e mezzo della deportazione, quel suo profetico inconscio. Gli arlecchini sono sei, come i suoi figli, Fiorenzo il musicista, Pinin lo scrittore e illustratore, Giovanna, Cioni il pittore, Piero che allora era un ragazzo, e Paolo di 17 anni, arrestato a Milano dalle SS il 31 luglio 1944, rinchiuso a San Vittore, deportato a Flossenburg e poi a Gross-Rosen, nella Slesia meridionale, ucciso pochi giorni prima dell’arrivo dell’Armata rossa. Un crudo, insanabile dolore, quando Carpi seppe. Aveva visto che cos’era la morte nel lager. […] La famiglia Carpi era ebrea, il nonno Mosè insegnava Patologia medica all’Università di Pavia, il padre Amilcare era un medico dei poveri molto conosciuto nella Milano ottocentesca. La madre non era ebrea, il futuro pittore fu battezzato, educato nella religione cattolica. Sulla denuncia di quel professore, Carpi, quando fu interrogato dalla polizia fascista, vide che accanto al suo nome era segnata una J. Ma nel lager fu considerato soltanto un prigioniero politico».

famiglia Carpi

La famiglia Carpi – foto Archivio Carpi ad Apice

Il diario era stato scritto tra il 1944 il 1945 in forma epistolare, si tratta infatti di lettere idealmente indirizzate, ma mai spedite, alla moglie Maria. Lettere scritte su minuscoli foglietti, che erano le ricette di un medico, di cui Carpi era riuscito a usufruire mentre si trovava internato nel kommando di Gusen, campo di lavoro e di eliminazione a 7 km da Mauthausen, definito da Piero Caleffi come «la più tragica dipendenza del campo centrale». Lettere conservate a rischio della vita, la cui lunga e difficile trascrizione è stata poi compiuta dalla figlia Giovanna, e che hanno visto la pubblicazione solo nel 1971 per le cure del figlio Pinin, il famoso scrittore Pinin Carpi, che ha anche a lungo intervistato il padre per colmare gli stacchi tra una lettera e l’altra e per chiedergli chiarimenti su personaggi e vicende che nelle lettere erano appena accennate, in quanto Aldo Carpi aveva sempre preso come ulteriore precauzione quella di non scrivere i nomi delle persone di cui parlava. Del resto, il diario non è un dettagliato resoconto di vicende e sofferenze quotidiane. Per prudenza in caso di controllo, ma evidentemente anche per sua inclinazione personale, il contesto del lager è spesso dissimulato, per lasciare spazio a riflessioni di natura religiosa, esistenziale, filosofica, artistica, miste a ricordi di vita famigliare. Mentre la maggioranza delle testimonianze scritte a posteriori si dedica al resoconto dei tragici eventi vissuti, qui ci troviamo di fronte a una scrittura che non è memoriale, testimoniale, storica, bensì intima, personale, proveniente da una voce interiore che serve a dare forza, alimentare la speranza, rinnovare la fede, alleviare il dolore. Serve ad Aldo Carpi per rimanere umano.

Il Diario di Gusen è stato più volte riedito, prima da Garzanti e poi da Einaudi, che ancora oggi lo tiene in catalogo. Non è l’unico diario uscito da un lager nazista – e probabilmente non è nemmeno il più noto – ma è comunque da più parti ritenuto un documento unico, non solo per il modo in cui è nato, appunto dentro al campo di concentramento, ma anche per lo stile, sereno, privo di risentimento, senza odio, senza nessuno spirito di rivalsa. È diverso, poi, anche per l’alternarsi di testo e immagini, che ne fanno un documento veramente peculiare di quella tragica esperienza. Il Diario di Gusen è infatti illustrato da settantacinque disegni, che comprendono alcuni ritratti dei compagni deportati eseguiti durante il periodo di prigionia, i disegni eseguiti nei giorni immediatamente precedenti all’arrivo dell’esercito americano, alcuni schizzi per i quadri richiesti dalle SS durante il periodo di detenzione, paesaggi e gruppi di persone disegnati durante la permanenza obbligata a Regensburg dopo la Liberazione (perché anche agli americani piaceva farsi fare i ritratti da Carpi) e infine disegni di scene di vita nel lager dipinti dopo il rientro a Milano. Questi ultimi idealmente continuano il discorso che il diario invece interrompe il 23 luglio 1945.

 

Roberta Cesana
Università degli Studi di Milano
Dipartimento di Studi storici “Federico Chabod”

 

Aldo Carpi e Maria Arpesani