22 aprile 2024

Traduzione, sostantivo femminile

Lalla Romano, Nini Agosti Castellani, Natalia Ginzburg, Adriana Motti

Il convegno intitolato Translating Women in Twentieth-Century Literary Cultures che si svolgerà nelle due giornate del 15 e 16 maggio all’Università degli Studi di Milano, organizzato dal Dipartimento di Studi storici con il patrocinio del Centro Apice, rappresenta il momento culminante di un progetto di ricerca dedicato alle traduttrici (Women Translators in Italian Publishing) finanziato dalla Commissione europea Horizon 2020 per l’innovazione e la ricerca (Marie Skłodowska-Curie Grant agreement n.101029767).

Condotto da chi scrive a partire da settembre 2022, sotto la supervisione della Prof.ssa Roberta Cesana, e in procinto di concludersi tra pochi mesi, il progetto mira a valorizzare la partecipazione delle donne al discorso intellettuale italiano tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta, ponendosi al crocevia tra gli studi di traduzione, letteratura e storia. Pur svolgendo un ruolo cruciale nella produzione dei libri e nella circolazione della letteratura straniera, le figure dei traduttori fino a poco tempo fa erano state trascurate dagli studi di storia dell’editoria, maggiormente interessati ad altri tipi di mediazione culturale: il lavoro degli editor, degli agenti e degli stessi editori appariva più determinante. Talvolta la difficoltà di mettere a fuoco queste figure è dipesa dalla loro natura non solo umbratile (pochi e scarsi i documenti), ma anche ibrida: se integrate nel mondo dell’editoria, infatti, spesso svolgevano più funzioni contemporaneamente e il ruolo di traduttori, in senso stretto, si confondeva con altre mansioni o cadeva in secondo piano. Attraverso un approccio interdisciplinare, Women Translators in Italian Publishing ha inteso dare piena dignità al lavoro del tradurre, concentrando l’attenzione proprio sulle donne, soggetti maggiormente invisibili perché privi di un secondo mestiere che desse loro un riconoscimento sociale. Al contrario, le donne spesso si sono dedicate alla traduzione per uscire dal loro isolamento domestico, trovando in questa umile pratica una via d’accesso alle professioni intellettuali.

Il progetto ha cercato quindi di far riemergere dall’oblio figure poco note e di rivalutare il contributo di donne già affermate come editor o autrici, ma poco studiate in qualità di traduttrici, allo scopo di ridisegnare una mappa dell’editoria al femminile. Tale obiettivo ha portato a esaminare l’attività professionale di quattro donne, quattro casi di studio, ovvero: le traduttrici professioniste Maria Luisa (Nini) Agosti Castellani (1913-2005) e Adriana Motti (1924-2009); e le scrittrici Natalia Ginzburg (1916-1991), e Lalla Romano (1906-2001), entrambe, rappresentanti di spicco della casa editrice Einaudi. Seppure a vario titolo, tutte le donne selezionate condividono per nascita o formazione il legame con Einaudi e con la città di Torino, tradizionalmente identificata con la capitale culturale italiana e, grazie all’opera di illustri scrittori e traduttori (come Piero Gobetti, Leone Ginzburg, Cesare Pavese ed Elio Vittorini), considerata anche un vero e proprio “luogo di traduzione”.

Attingendo a un insieme interdisciplinare di strumenti e approcci metodologici, dall’analisi storica, alla sociologia della letteratura, agli studi sulla traduzione e alla ricerca d’archivio, il progetto ha cercato di identificare i ruoli occultati o poco studiati delle donne e di quantificare il loro impatto sul panorama editoriale non solo in termini di traduzioni intraprese, ma anche di scambi e pareri intellettuali, misurando la rete di relazioni e l’insieme di suggerimenti dati per sostenere la produzione di libri. Lo studio ha preso in considerazione documenti editi e inediti, le traduzioni e gli scritti che accompagnano il processo traduttivo, ponendo l’accento sulla corrispondenza privata come veicolo per le donne di esprimere la propria voce e far valere le proprie opinioni in un sistema prevalentemente maschile. Si è cercato quindi si inseguire la presenza “fantasmatica” delle traduttrici, raccogliendo indizi frammentari e dispersi, perché, se gli archivi editoriali appaiono lacunosi per ricostruire i processi della traduzione, è ancor più raro che si riesca a identificare l’archivio privato di traduttori e traduttrici, in generale meno propensi, a differenza dei letterati, a custodire le carte e i documenti del proprio lavoro. Eppure, per quanto scarse e lacunose, queste tracce hanno permesso di rendere visibili le donne “dove la storia ommetteva di vederle”, per dirla con Arlette Farge.

In questo contesto interdisciplinare si situa il convegno Translating Women in Twentieth-Century Cultures che, come spiega il titolo, vuole allargare ancora di più il punto di osservazione aprendo l’indagine a molteplici contesti culturali e linguistici del secolo appena trascorso. Per il mondo occidentale, il Novecento rappresenta la fine dell’esclusione delle donne dalla sfera pubblica, eppure il conflitto che ha regolato per secoli l’accesso alla scrittura e l’implicito invito alla moderazione, alla non eccessiva esposizione di sé, costituiscono un retaggio difficile da cancellare. La traduzione rimane a lungo il mestiere più consono alle donne. Tuttavia, mentre si affermano in ambito editoriale delle pioniere, pensiamo a Ada Prospero Gobetti, a Cristina Garosci o ad Alessandra Scalero, per rimanere in ambito italiano, si approfondisce il divario tra letterati e traduttrici, fino a situazioni di mutua alleanza che però portano all’adombramento quasi completo delle donne. Il convegno vuole essere un’opportunità di dialogo tra studiosi provenienti da vari paesi e attivi in vari ambiti disciplinari, uniti, tuttavia, da una passione per la storia della traduzione e consapevoli dell’importanza della “micro-history” per delineare grandi cambi di paradigma.

 

Teresa Franco
Marie Skłodowska-Curie Fellow
Università degli Studi di Milano