18 febbraio 2021

L’intervista: Stephen Alcorn racconta John Alcorn

“Mio padre non credeva nella falsa distinzione tra le cosiddette “fine art” e le arti applicate. Era del parere per esempio che i manifesti litografici di Toulouse Lautrec, anche se creati a scopo pubblicitario, non fossero meno degni di considerazione dei suoi dipinti ad olio su tela, nonostante questi dipinti fossero spesso realizzati per soddisfazione puramente personale e quindi non a scopo di lucro. Quando mio padre fu studente presso la Cooper Union di New York, ebbe la fortuna di essere esposto sia all’attività di pittura che all’attività di designer, allora due discipline considerare mutualmente esclusive. Ebbe modo di provare due modi distinti di vivere e impegnarsi nel mondo delle comunicazioni visive: uno che necessitava di creare un rapporto con il pubblico più ampio, attraverso il mondo dell’editoria e della pubblicità; e uno che aveva bisogno invece di coltivare un rapporto con un mondo più rarefatto, vale a dire galleristi, curatori e collezionisti privati. [..] Nel 1971, per più di un anno, mio padre si dedicò esclusivamente alla pittura. Da questa esperienza imparò molto: innanzitutto si rese conto che la vita del pittore ‘puro’, per natura meditativa e contemplativa, non era del tutto compatibile con il suo temperamento. Capì che i problemi formali, estetici e tecnici da cui gli derivava maggior soddisfazione, erano quelli inerenti all’attività di grafico, vale a dire del ‘commercial artist’. In seguito avrebbe trovato il modo di abbinare una sensibilità puramente pittorica a una sensibilità decisamente grafica.”

È questo un estratto della videointervista a Stephen Alcorn, figlio di John Alcorn, lui stesso artista e professore ordinario presso The School of The Arts della Virginia Commonwealth University, (Richmond, VA).